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giovedì 27 marzo 2014

Rottura

Mi dispiace davvero.

Quando finisce un matrimonio, sono sempre rammaricata. Penso a quanto debba essere straziante e penoso, a quanto ci si debba sentire male, come essere nel pozzo più nero, con la sensazione che il cielo sia lassù, così lontano da sembrare un puntino e che la strada da percorrere per raggiungerlo sia lunga, scivolosa e ripida, tanto ripida.

Anche quando a separarsi è la classica coppia di "belli ricchi e famosi", poco cambia. Insomma, sono esseri umani pure loro.

Chris Martin e Gwyneth Paltrow poi, erano sposati da oltre 10 anni, che nel mondo dello spettacolo non sono pochi, avevano due figli...chissà perchè mi davano l'idea di essere una coppia stabile.

Sarà perchè la di lui musica mi piace tanto, ho tutti i dischi dei Coldpaly e li ho visti due volte dal vivo: vi comunico che come live band sono una bomba, bravissimi. Puntuali sul palco, non si risparmiano e sia con scenografie scarne, sia con concerti più "spettacolari", protagonista è sempre la musica; non si risparmiano; sono bravi strumentisti, non c'è trucco e non c'è inganno. Creano un legame forte col pubblico, si percepisce e lascia il segno.
Si esce dai cancelli stanchi, sorridenti, senza voce, elettrizzati, il panino con la salamella ben digerita e soddisfatti, molto soddisfatti di aver investito i soldini nel biglietto.

E sarà pure perchè lei, pur essendo alta, magra, bionda e bella, non mi sta sulle palle. Non so perchè. Per esempio non parlatemi di Scarlett Johansson, per qualche motivo illogico, infondato e irrazionale, mi sta sui maroni. La trovo espressiva come una sedia.
La Gwyneth no, ma non so spiegarmelo.

Tutto ciò per dire che mi spiace, che mi sembra un grande spreco, che come al solito il prezzo più caro sarà pagato dai figli...una tristezza.

Anche loro che hanno tutto e avranno ancora di più, oggi credo stiano perdendo tanto.

Ma chissà.



lunedì 17 marzo 2014

San Patrizio, si festeggia l'Irlanda

Erano giorni bui, qui in Italia. Pioveva incessantemente, da giorni e giorni; e va bene che era novembre, ma non si era abituati a quel diluvio costante. E faceva freddo, dentro e fuori, perchè dal mondo arrivavano dolore e sgomento, arrivava Nassiriya.

Era il novembre 2003 e l'Irlanda viveva due settimane di inspiegabile bel tempo e non sto parlando di assenza di precipitazioni, di poco vento o pioggerella fine, sto parlando di cielo blu, di sole, di limpidezza, di aria profumata.

Io ero là, a realizzare uno dei sogni della mia vita: mettere piede su quell'isola fantastica, fatta di musica, birra, sangue e contraddizioni. E oggi che è la sua festa, io celebro l'isola di smeraldo.

L'Irlanda non è bella in senso assoluto, ma regala sprazzi di meraviglia che raramente ho visto altrove.

L'Irlanda è come me: è alti e bassi, è bellissimo e bruttissimo, è prati verdi profumati e cieli grigi e puzzosi, è allegro a mille e triste da piangere, è vita e morte, è musica e silenzio.

Insieme alla mia compagna di viaggio e di casa, allora per me semisconosciuta, ho imparato a vivere laggiù adattandomi alla loro pronuncia e alle loro abitudini alimentari, che per noi italiani sono abbastanza aberranti, diciamo la verità.
Leti, che forse litigava più di me con la cucina locale, si è alimentata per gran parte del tempo con biscotti con gocce di cioccolato, hamburger da cui rimuoveva meticolosamente salse e formaggi e purè di patate.
Ricordo con il sorriso le nostre incursioni al supermercato locale, in cui come due disperate cercavamo qualcosa che somigliasse a del cibo "normale": prosciutto cotto? Un pacco di pasta che non costasse un rene? Passata di pomodoro? Mah.
In qualche modo però ci siamo arrangiate, ci siamo conosciute, divertite, ambientate e anche nutrite.
Abbiamo scoperto di amare la Guinness, di poter andare d'accordo convivendo senza problemi, di avere sogni comuni e altri distanti anni luce. Ci siamo scoperte l'una l'altra.

Mentre ci aggiravamo per le corsie del SuperValue, spesso suonava questa canzone, che non è irlandese per niente, visto che la canta una Sheryl Crow che è americana e che la canzone stessa era già stata un successo di Rod Stewart (Gran Visir di tutti i tamarri, insieme a Steven Tyler), che è scozzese.

Però a me ricorda quei giorni bellissimi, di sfide e sogni, di speranze, di birra e di inspiegabili cieli blu.



giovedì 6 marzo 2014

Il valore educativo della gita scolastica

Figlia di insegnante, per me la gita scolastica ha sempre significato croce e delizia.
Delizia per me, croce per mamma.

Alzi la mano l'insegnante di scuola media che anela accompagnare trenta sciamannati demi-cerebrati in preda all'ormone galoppante a cui non frega assolutamente nulla di ciò che visiteranno (sia Venezia, Roma, Firenze, Siena...they won't care), ma si interessano invece moltissimo di come organizzare un pigiama party a base di birre abusivamente acquistate in autogrill e per i più trasgressivi, sigarette trafugate ai genitori.

Nessuna. Bene. Infatti nemmeno mia madre.
Però si prestava, oh se si prestava e devo dire che non era niente male. E' successo infatti, in seconda media, che io partecipassi ad una gita in cui lei era accompagnatrice della sua classe e ammetto che in quanto produttrice di caciara non aveva nulla da invidiare ai suoi ragazzi.

Ma torniamo a me.
A dir la verità, la gita scolastica dava un pezzettino di croce pure a me: il pullman. Io ho sempre sofferto di mal d'auto e più in generale mal di qualsiasi cosa si muovesse: auto, pullman, treno, traghetto, giostrina del parco giochi.
Ma il pullman era in assoluto sul gradino più alto degli stimolatori di nausea per la sottoscritta. Quindi quello che per gli altri era il primo momento di socializzazione, in cui si gettavano le basi per i pigiama party di cui sopra (e chissà cos'altro), per me diventava un piccolo calvario: rigorosamente seduta nei primi posti, occhi inchiodati alla strada (guai leggere, l'effetto vomito sarebbe stato immediato) e zero possibilità di divertirsi insieme agli altri nelle retrovie.

Mio fido compagno di avventure, IL WALKMAN, oggetto che in sostanza era diventato una mia protesi.
Dove andavo io, andava anche il walkman.
Nella mia carriera ne ho avuti ben 5, perchè li fondevo con una velocità impressionante. Si si, gli fondevo il motore, in pratica.

In gita il Walkman era fondamentale per me, sarei morta di noia senza di lui e senza le mie cassette (oddio le cassette, ma quanto sono vecchia??!).
Certo però le cassette erano ingombranti, ne portavo il minimo indispensabile e poi, immancabilmente in autogrill, quando gli altri compravano la birra, io mi compravo una cassetta nuova.

Ricordo in particolare un episodio.

Seconda media, gita in Umbria, tutti quei favolosi posti....Assisi, Perugia, Spello, Spoleto, Todi, Gubbio...una meraviglia in cui, grazieadioinetàpiùadulta, sono poi tornata.

Ecco, in autogrill quell'anno ho comprato la colonna sonora di The Blues Brothers (che all'epoca aveva già nove anni, mica roba nuova) e "Like a Prayer" di quella grandissima tamarra di Madonna (tutti adesso parlano di Lady Gaga, ma ve la ricordate madame Ciccone come si conciava??), perchè anch'io ogni tanto attraversavo delle fasi in cui volevo sentirmi "nel mio tempo".
Arrivo in cassa, davanti a me c'è un mio compagno, ha comprato "Liberi Liberi" di Vasco Rossi (dedicherò a Vasco un post a parte, non fatemi dilungare ora!); la cassiera passa la cassetta sul lettore del codice a barre, sorride, poi guarda le mie cassette, riguarda "Liberi Liberi", alza gli occhi e dice al mio amico: "Ottima scelta".
Io tra me e me penso le peggio cose di questa donna e quando poi arriva il mio turno, le sussurro una frase al veleno che neanche ricordo.
Me ne vado stizzita e penso che nemmeno se compro Madonna mi sento conforme, ma va bene così, cavolo!

Ebbene, tra le tante tamarrate tipiche di nostra signora di Detroit, in "Like a Prayer" ci sono un paio di canzoni carine. Non sono una snob musicale, ascoltate Spanish Eyes e ditemi se non è meglio di quella canzone di Miley Cyrus con il video in cui ballonzola nuda su una palla da cantiere di demolizione.

Oh.

lunedì 3 marzo 2014

Bellezza, estasi e ingegneri

Esistono dei versi che secondo me sono di una bellezza imbarazzante, perchè esprimono concetti favolosi, in poche perfette parole.
Attribuisco parecchio merito in questo alle lingue, che ci offrono possibilità di espressione davvero notevoli, ognuna a suo modo. Sono pur sempre un'appassionata!

Spesso mi ritrovo ad ammiare la concisione e la musicalità di certe frasi in inglese, certe strofe di canzoni. Provo a pensare a come sarebbe lo stesso verso tradotto in italiano e a volte, resto impietrita. Tradurre è davvero un mestiere difficile: le sfumature di una lingua talvolta sono intraducibili e si perdono completamente, capita che la pulizia, la semplicità, la concisione e "l'atmosfera" vadano a quel paese.

Ero in auto, la radio trasmetteva una canzone dei Pretenders, il gruppo di Chrissie Hynde, donna dalla splendida voce. Il pezzo è una canzone d'amore di diversi anni fa, infatti non è una novità per me, la canzone mi è già nota, ma solo in quell'occasione, poche settimane fa, la capacità espressiva di Chrissie mi colpisce. Ad un certo punto, parlando del suo amato, lei canta:

Nothing you confess, could make me love you less

Solo a me vengono i brividi?
Solo io mi sento rimestare lo stomaco di fronte all'immensità dell'amore espresso in quella riga?
Solo io mi sento come una studentella d'arte di fronte a un Van Gogh?

Questa signora sta dicendo al suo uomo: quasiasi cosa tu mi confessi, il mio amore non cambierà.
Sì, insomma, tradotto alla carlona*, ma lei come lo dice?? Lo dice rimando, facendo musica con le parole e lo dice meglio, perchè va più nel dettaglio, infatti il suo amore non è che non cambierà, ma non diminuirà, lei non potrà mai "amarlo di meno".

Ecco.
Io ero estasiata dalla bellezza di quel verso: dal suo significato e dalla perfezione con cui il senso viene espresso.

Tutta infervorata l'ho detto a mio marito.
Che mi ha guardata un po' stranito e ha commentato: "Sì, beh...e allora?"

No ma niente, figurati.


*alla carlona: un po' alla cavolo